La cultura dell’uomo non rende meno gravi gli abusi ai danni della moglie
Lo Stato italiano non riconosce validità a concezioni culturali che ledono i diritti fondamentali della persona e la pari dignità dei coniugi
A fronte di gravi reati contro la persona, come violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia, l’appartenenza del soggetto sotto accusa ad una cultura che ammette tali condotte non ha alcuna efficacia scriminante né può giustificare un trattamento sanzionatorio più mite. Ciò perché lo Stato italiano non riconosce validità a concezioni culturali che ledono i diritti fondamentali della persona e la pari dignità dei coniugi. Questi i chiarimenti forniti dai giudici (sentenza numero 37929 del 16 ottobre 2024 della Cassazione), chiamati a valutare la posizione di un uomo che, finito sotto processo per le condotte tenute tra le mura domestiche ai danni della donna, ha provato a ridimensionare gli addebiti a lui mossi richiamando il contesto socio-culturale di appartenenza. Nello specifico, l’uomo sostiene che, sulla base della concezione socio-culturale dei poteri maritali di cui è portatore, le sue condotte non avevano né una finalità maltrattante né una finalità di abuso sessuale, essendo esse pienamente consentite nell’ambiente sociale e culturale di provenienza ed in cui egli si era, pertanto, educato e formato sotto il profilo comportamentale. Ancora più chiaramente, l’uomo sostiene che le condotte a lui contestate non sono state poste in essere con la coscienza e la volontà di annichilire e svilire la moglie, atteso che la disparità fra uomo e donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato per tanti anni. In premessa, i giudici chiariscono che, ai fini della sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, non vi è la necessità che il soggetto avesse il fine di annichilire e svilire la persona offesa, mentre è sufficiente che esso abbia avuto la consapevolezza delle condotte tenute e che queste siano tali da integrare una condotta maltrattante. Parimenti, per ciò che attiene alla ipotesi della violenza sessuale, ove le condotte integranti atto sessuale siano poste consapevolmente in essere in assenza della espressione, tacita o espressa, del benestare del soggetto nei cui confronti esse sono realizzate o fatte realizzare, si deve intendere integrato l’atto sessuale, quale che sia stata la finalità che il soggetto avesse perseguito. Nessun rilievo può avere, quindi, la convinzione da parte del soggetto sia di non violare la legge o, addirittura, di esercitare un proprio diritto. Né può darsi rilievo a quello che la difesa dell’uomo sotto processo definisce il bagaglio costituito dalla cultura di origine che l’individuo che arrivi in Italia reca con sé. Vero che il contesto sociale e culturale in cui una certa condotta si sia manifestata deve essere preso in considerazione al fine di correttamente interpretarne la eventuale rilevanza penale, ma un tale dato socio-culturale è suscettibile di essere valorizzato solo in presenza di una condotta che non sia platealmente invasiva della sfera della intimità sessuale o della stessa integrità, morale o fisica, del soggetto, a volte in nome di pretese subculture etniche esse stesse espressive di forme di atavismo culturale. Condizioni entrambe non riscontrabili nella presente fattispecie, in cui, invece, le condotte del soggetto non solo sono espressive di una concezione del rapporto coniugale che, non essendo fondato sulla pari dignità di entrambi i coniugi, non è ammissibile nel nostro ordinamento, ma sono anche espressive di una grave e manifesta compressione della posizione soggettiva della persona offesa, indubbiamente non bilanciabile con il preteso rispetto per la diversa formazione culturale del soggetto, termine questo usato in una accezione che si potrebbe dire solo formale, dovendosi escludere che concezioni esistenziali che postulino una programmatica condizione di subalternità del coniuge di sesso femminile nella coppia coniugale o, più in generale, la non pari dignità dei due membri del sodalizio coniugale – o se si vuole para-coniugale – possano essere espressive di una cultura, laddove essa sia intesa, secondo l’accezione più comune, come espressiva di una ricca sapienza umana.