L’uso delle parti comuni può talora configurarsi come servitù

La costituzione della servitù su parti comuni a favore di proprietà esclusive non esclude però di per sé la condominialità

L’uso delle parti comuni può talora configurarsi come servitù

In materia di condominio, la disciplina delle parti comuni, prevista dal Codice Civile, si applica quando sussiste un rapporto di accessorietà necessaria tra tali parti e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Perciò, la costituzione di una servitù su parti comuni a favore di proprietà esclusive non esclude di per sé la condominialità del bene, mentre, ragionando in un’altra ottica, l’uso delle parti comuni oltre i limiti del diritto condominiale può configurarsi come servitù, da costituire con il consenso di tutti i partecipanti. Questa la chiave di lettura fornita dai giudici (sentenza numero 28268 del 4 novembre 2024 della Cassazione), chiamati a ragionare sulla comproprietà di due immobili, sulla loro eventuale estraneità all’ambito condominiale e soprattutto su una presunta servitù prediale gravante sull’androne dello stabile condominiale. Per maggiore chiarezza, comunque, i giudici precisano che il titolo contrario alla presunzione di condominialità dell’androne avente tale destinazione oggettiva all’uso comune richiede una espressa ed inequivoca dichiarazione di volontà, contenuta nel primo atto di frazionamento costitutivo del condominio, che, in contrasto con l’esercizio del diritto comune, faccia ritenere che tale bene sia stato riservato dall’alienante o attribuito ad un singolo condomino in proprietà esclusiva. Però non configura ex se titolo contrario la costituzione di una servitù a carico di parti comuni ed a vantaggio di una o più proprietà esclusive, in quanto l’esistenza di una siffatta servitù in favore della singola unità immobiliare non esclude la condominialità del fondo servente, del quale resta contitolare anche il proprietario della porzione individuale dominante. Poi, alla ammissibilità di una servitù gravante su un bene condominiale e a favore di una proprietà individuale compresa nell’edificio non ostano, invero, né il principio nemini res sua servii, sussistendo sia la diversità dei fondi (dominante e servente), sia la (parziale) non coincidenza soggettiva dei titolari di tali fondi, né l’assunto difetto di utilità, sul presupposto che il vantaggio attribuito dalla servitù rientrerebbe già nel contenuto del diritto di condominio. Inoltre, il riconoscimento in favore di immobili di proprietà individuale di un diritto di servitù costituito per contratto e posto a carico di parti comuni di un condominio (nella specie, l’ingresso e l’androne del fabbricato) non vale di per sé a conferire (né a negare) al titolare di tale servitù la qualità di condòmino, agli effetti della contitolarità delle parti comuni dell’edificio stabilita dal Codice Civile, dell’attribuzione dei diritti sulle stesse in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare e dell’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione e il godimento. In generale, la disciplina del condominio degli edifici è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso. La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di più unità immobiliari o più edifici adiacenti orizzontalmente, purché aventi in comune alcuna delle parti necessarie all’uso collettivo, o delle aree, delle opere, delle installazioni o dei manufatti destinati, per caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune. Quando, invece, manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere comunque frutto della autonomia privata. L’uso delle parti comuni, come ad esempio del portone di ingresso e dell’androne che siano strutturalmente e funzionalmente destinati al servizio di distinti corpi di fabbrica, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un unico complesso immobiliare, è regolato dal Codice Civile. Se si ravvisa unicamente una servitù prediale su un bene condominiale (come, nell’esempio di causa, sul portone di ingresso e sull’androne del fabbricato), in favore di una proprietà esclusiva esterna al complesso immobiliare, tale proprietà non viene a partecipare al condominio. È poi questione di fatto, apprezzabile in sede di interpretazione del titolo costitutivo, accertare se la servitù di passo attraverso l’ingresso e l’androne del fabbricato condominiale, esercitabile dagli spettatori del locale pubblico esistente nell’area retrostante, configuri una servitù industriale, essendo l’utilità inerente al fondo dominante destinato ad attività commerciale nella sua funzione, o, piuttosto, una servitù aziendale, ove l’utilità sia intesa inerente all’azienda che insiste sull’immobile.

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